Andrea Furcht

Razzismo e statistica: osservazioni sul pregiudizio

Parte 6 di 10
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6 - Teoria delle decisioni e valutazione del rischio

"Allora, sotto la luce rossastra della lampada a petrolio, apparvero i lineamenti volgari di una faccia equivoca, losca e pallidissima, che una squallida barba di sei o sette giorni rendeva ancor più sinistra e su cui si leggevano a chiare lettere la fame e la sfacciataggine. Osservandolo con maggiore attenzione, m'accorsi che una lunga cicatrice gli deturpava la guancia sinistra e dopo qualche minuto, alla vacillante luce della lampada che faceva danzare esageratamente le ombre, dovetti constatare con terrore che la faccia del mio compagno di viaggio, che prima m'era parsa solo poco rassicurante, fosse addirittura spaventosa. Avrei voluto cambiare scompartimento ma, non essendo il treno comunicante, fino alla prossima stazione era inutile pensarci. (...) A un tratto lo sconosciuto s'alzò fissandomi. Balzai in piedi con un grido per attaccarmi al campanello d'allarme, ma l'altro mi fermò guardandomi con occhi supplichevoli e, accortosi che avevo paura, mi rassicurò: 'Signore' mi disse 'voi credete che io sia un ladro. Tranquillizzatevi. Tutti lo credono, vedendomi, ma io non sono un ladro'. 'Vi pare?' esclamai, lieto di questa leale dichiarazione che mi toglieva da un incubo 'io non credo affatto che siate un ladro.' Così dicendo gli feci posto accanto a me. 'Io non sono un ladro' ripeté il brutto ceffo. E aggiunse: 'Purtroppo' (...) 'Spiegatevi,' feci 'che cos'È che ve lo impedisce?' Il mio compagno di scompartimento sollevò il volto verso la lampada e si mise bene in luce. 'Guardatemi' disse 'che cosa notate?' Avrei voluto rispondere: 'Una gran faccia di mascalzone', ma me ne astenni per evitare storie, e risposi semplicemente: 'Non so: non vedo nulla di anormale'. 'Ah, fece il figuro 'non vedete nulla? Allora ve lo dirò io.' Mi guardò fisso negli occhi e aggiunse, con voce strozzata: 'Io, signore, ho la faccia di ladro'.

Rimasi come fulminato. Non gli si poteva dare torto ma avevo anche paura a dargli ragione. 'Come si può rubare con una faccia simile?', proseguì dopo un attimo il brutto ceffo, con la voce divenuta stridula e beffarda. 'Se circolo tra la folla, tutti al mio passaggio portano istintivamente la mano al portafogli e alla catena dell'orologio. Le donne, vedendomi, sorvegliano le loro collane e le loro spille preziose. I miei compagni di viaggio non cessano di tener d'occhio i propri bagagli e palpeggiarsi le tasche per assicurarsi che nulla manchi, i gendarmi, quando m'incontrano, mi fissano attentamente e, se c'È un borseggio tra la folla, il primo ad essere sospettato sono io.'" (L'uomo dalla faccia di ladro, Campanile pp.47-9).

Il giudizio del viaggiatore è qui palesemente orientato a dettare una linea di condotta per l'azione immediata. Fidarsi o meno dello sconosciuto? La logica del procedimento è semplice: si stima una funzione di perdita legata alle differenti possibili alternative di azione[1], tenuto conto anche dell'avversione (o propensione) al rischio, e la si minimizza alla luce delle probabilità soggettivamente assegnate agli stati della natura[2]. Nel caso dell'uomo dalla faccia di ladro il giudizio è individuale, anche se mediato: ad essere valutata non può essere direttamente l'onestà dell'interlocutore, ma bisogna servirsi del rapporto di indicazione, partendo dall'apparenza. Le caratteristiche esteriori possono naturalmente innescare l'inquadramento categoriale: l'(ipotizzata) appartenenza ad un certo gruppo è tipicamente uno dei criteri-base per valutare gli sconosciuti[3]. La fisiognomica, che implica un passaggio dall'aspetto fisico alla personalità, può infatti essere considerata una delle progenitrici del moderno razzismo[4] (in questo senso anche Eco pp.16-7).

Sia Allport (p.21-2) che Feagin (p.102) stilano una gerarchia di atteggiamenti razzistici, dei quali tenersi a distanza è uno dei primi[5]. Mi pare però si possa tracciare una netta linea di demarcazione, almeno dal punto di vista dal quale stiamo trattando l'argomento, rispetto alle reazioni che implicano aggressione almeno indiretta. Facciamo un esempio: una madre lascerà più tranquillamente giocare il figlio piccolo vicino ad un boxer, cane notoriamente buono (basta non farsi ingannare dalla fisiognomica), che accanto ad un pitbull anche della stessa taglia[6]. Nei casi di emergenza, può non esserci il tempo – o una raccolta di dati sufficiente – per un giudizio immediato. In questo caso il giudizio stereotipato può essere di qualche utilità pratica per la sua economicità[7], tenuto conto che:

*�� una media di gruppo falsa (come è facile che sia) conduce spesso a decisioni sbagliate;

*�� anche con una media vera, o vicina al vero, si corrono molti pericoli, in ragione dell'ampiezza della dispersione;

*�� rimangono invariati gli inconvenienti di ingiustizia verso il singolo (cfr. nota 46).

Defilarsi può insomma essere una misura preventiva[8], presa al puro scopo di salvaguardia personale, e tipicamente trattabile secondo l'approccio della teoria delle decisioni. A torto o ragione si può infatti ritenere che i membri di un certo gruppo siano tendenzialmente pericolosi[9], senza che questo implichi necessariamente sentimenti di ostilità[10] . Esiste anche un'interpretazione parzialmente alternativa (in quanto incentrata sull'affettività e non sul calcolo) di simili atteggiamenti, quella dell'aversive racism (cfr. anche nota 74): "The negative affect that aversive racists have for blacks is not hostility or hate. Instead, this negativity involves discomfort, uneasiness, disgust, and sometimes fear, which tend to motivate avoidance rather than intentionally destructive behaviors" Gaertner e Dovidio, p.63[11].



[1] L'alternativa sarebbe: a) rilassarsi, oppure: b) vigilare (scongiurando così la criminosa azione). Gli stati della natura sarebbero: 1) l'uomo è un ladro 2) l'uomo è onesto. Ad essi sarebbero rispettivamente collegate le perdite: 1a) dei propri averi - 1b) delle energie spese per la sorveglianza -

2a) nessuna perdita - 2b) come in 1b .

[2] Per il criterio bernoulliano di massimizzazione dell'utilità attesa cfr. Gambarelli e Pederzoli, cap.V e Manz, Dahmen e Hoffmann, pp.34-47.

[3] Anderson, scrivendo della classificazione mentale delle aree urbane, mette in rilievo come questa si costruisca analizzando le persone che vi si incontrano: "In such circumstances, skin color, age, dress, and style of comportment can become important as markers, which then help to characterize and define the area" (p.109).

[4] Può forse meravigliare – se, almeno, non si tiene conto del clima dell'epoca – sorprendere addirittura Doyle (che pure saprà trovare nobili accenti in La faccia gialla) in una prosa indegna della razionalità della sua miglior creatura (p.158): "Ecco il primo volume di un dizionario geografico [parla Holmes] di recente pubblicazione, e che fa testo in materia. (...) 'Gli aborigeni delle Isole Andamane ... sono selvaggi, rissosi, intrattabili, ma capaci della massima devozione ed amicizia quando si riesca ad ottenere la loro fiducia.' Ricordi bene queste parole, Watson. E adesso senta: 'In generale d'aspetto ripugnante e deformi, con la testa grossa, gli occhi piccoli e feroci e dei lineamenti animaleschi. (...)'". Colpa del famoso dizionario? No, perché più in là incontriamo uno degli aborigeni in carne e ossa (pp.174-5): "Alzandosi esso assunse l'aspetto di un piccolo uomo nero, il più piccolo che avessi mai visto, con una grossa testa deforme con una matassa di capelli arruffati e scarmigliati. Holmes aveva già tirato fuori la sua pistola e anch'io impugnai la mia alla vista di quell'essere selvaggio e ripugnante. Era avvolto in una specie di cappotto o di coperta scura, che gli lasciava scoperta solo la faccia, ma quella faccia era abbastanza per non far dormire chiunque per una notte. Non ho mai visto lineamenti più crudeli e bestiali. I suoi piccoli occhi luccicavano e bruciavano di una luce sinistra e le sue grosse labbra erano corrugate in un ghigno che gli scopriva i denti, mentre la sua bocca emetteva mugolii e suoni animaleschi. (...) Le nostre rivoltelle scattarono contemporaneamente. Il piccolo uomo girò su sé stesso, allargò le braccia in avanti e con un gemito simile a un colpo soffocato di tosse cadde di lato nel fiume [giustizia è fatta]. Nel bianco vortice che si formò nell'acqua colsi un ultimo sguardo dei suoi occhi, minaccioso e pieno di veleno."

Certo, a rigor di termini anche il giudizio di Watson poteva essere individuale e de gustibus non est disputandum. Ma il sospetto della scarsa obiettività non può che rimanere. Nel caso dell'illustre dizionario si aggiunge l'errore dell'indebita generalizzazione, anche a voler pensare che non ci fossero assurdità nella stima della media di gruppo. Per una storia dei tempestosi rapporti tra inglesi ed indigeni delle Andamane, che può anche darci una spiegazione dell'astio profuso in questa pagina, si veda Cavalli-Sforza e Cavalli-Sforza, p.37.

[5] Ecco le due tipologie, in ordine di gravità. Allport: diffamazione - evitare i contatti - discriminazione - violenza fisica - sterminio. Feagin (riferendosi ai neri americani): avoidance - rejection - verbal attacks - physical threats and harassment by white police officers - physical threats and attacks by other whites.

[6] Con le dimensioni del cane cambia anche la funzione di perdita, perché diverse possono essere le conseguenze di un eventuale attacco; qui invece ci riferiamo solamente a differenze nella valutazione a priori dell'aggressività. Ritroviamo questi elementi nella situazione di una donna che di notte cambia marciapiede per evitare un uomo, mentre non lo farebbe per evitare un'altra donna. Da una parte può esserci un giudizio di tipo aprioristico sulla propensione a delinquere degli uomini; dall'altra – ed è una circostanza decisiva – il fatto che la disutilità legata ad una possibile aggressione sia prevedibilmente molto maggiore. Un ruolo decisivo nel processo decisionale è giocato dalla propensione/avversione al rischio, che ci può fare assegnare valori di utilità molto diversi al medesimo esito. è verosimile che un'alta avversione al rischio faciliti il ricorso al preconcetto (cfr. nota 55).

[7] In generale non è pensabile poter istruire un processo mentale a ogni pie' sospinto, per le azioni di routine si innesta una sorta di "pilota automatico"; cfr. Simpson e Yinger, p.91 e nota 3. Sulla possibile valenza di sopravvivenza dei pregiudizi, vedi anche lo Zibaldone, p.438. Il riferimento è però ai "pregiudizi naturali (dico i naturali, e non quelli figli di una corrotta ignoranza)", e il passo non è di chiara interpretazione.

[8] Cfr. Anderson, pp.123-4.

[9] Feagin raccoglie o cita dalla letteratura sociologica una serie di reazioni che sembrano tratte dal racconto di Campanile: "excessive surveillance of blacks' shopping" (p.107); "by the time they are in their twenties, most black males, regardless of socioeconomic status [vedi però nota 86], have been stopped by the police because "blackness" is considered a sign of possible criminality by police officers" (p.113). E questo è parte del racconto di un giovane studente di colore (p.111): "You walk the streets at night: white people cross the streets. I've seen white couples and individuals dart in front of cars to not be on the same side of the street. Just the other day, I was walking down the street, and this white female with a child, I saw her pass a young white male about 20 yards ahead. When she saw me, she quickly dragged the child and herself across the busy street. What is so funny is that this area has had an unknown white rapist in the area for about four years. [When I pass] white men tighten their grip on their women. I've seen people turn around and seem like they're going to take blows from me. The police costantly make circles around me as I walk home, you know, for blocks. I'll walk, and they'll turn a block. And they'll come around me just to make sure, to find out where I'm going."

[10] Particolarmente significativo a questo proposito quanto scrive Anderson (p.114): "The prejudice here seems to emerge not so much of deep-seated racial hatred and hostility, but rather seems to become prominent as it is felt useful for safe passage and security on public streets (...) the residents' cognitive maps of the area tend to be color-coded (...). To be sure, this color-coding has as a basis an inordinate fear of blacks and very strong association of black males, especially youths, with street crime. And along with this fear, residents feel a need to place distance between themselves and others who might mean them harm. Black middle-income people often appears as eager as whites to prejudge, avoid, and even defer to strange black males in the interest of safe passage on the streets". Quest'ultima annotazione è importante, e viene ribadita più avanti (p.119): "It is important to remember that there exists a general assumption among residents, black and white, that young blacks are primarily responsible for street crime in the area, and that blacks are somehow not as likely to assault other blacks on the streets when whites are avalaible. In reality, though, middle-income blacks in the Village, who often share a victim mentality with middle-income whites, appear just as distrustful of black strangers as their white neighbors, if not more so. (...) On the streets, the blacks express this attitude as they work at maintaining a certain distance toward certain black strangers whom they know only too well". Oppure si vedano le amare parole di Jesse Jackson (riportate in Barbagli, p.103): "non vi è nulla di più doloroso per me, in questa fase della vita, che camminare per la strada, sentire dei passi, iniziare a pensare a una rapina, poi guardarmi intorno, vedere qualcuno bianco e sentirmi sollevato".

I neri americani di classe media sembrano in effetti trovarsi tra l'incudine ed il martello. Da una parte rischiano di essere essi stessi discriminati (tutto lo scritto di Feagin è dedicato a questo); dall'altra, sono anch'essi vittime potenziali del crimine e – in più – sentono "a certain strong sense of outrage mixed with moral guilt for the street crimes of young black" (ancora Anderson p.119).

Ho personalmente sentito altri di questi casi. Un senegalese che aveva studiato negli Stati Uniti mi riferiva come il suo gruppo fosse terrorizzato dai neri americani (oltre che, immagino, oggetto di pregiudizio degli appartenenti agli altri gruppi etnici). E un marocchino residente a Milano, ben inserito professionalmente, raccontava in un dibattito che nei mezzi pubblici tutti, vedendolo, si stringevano la borsa – mentre egli stesso era impegnato a difendere il proprio portafogli.

[11] Va detto però che i bianchi, grazie anche al progressivo affermarsi di una middle-class di colore, sembrano avere giudizi molto più differenziati che in passato (cfr. Linville, Salovey e Fischer, pp.202-3).



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