Andrea Furcht

Razzismo e statistica: osservazioni sul pregiudizio

Parte 7 di 10
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7 - Informazioni aggiuntive e affinamento cognitivo

Di fronte alla necessità di agire, il decisore si forma un quadro di riferimento cognitivo, sulla cui base valutare poi le alternative. Questa la premessa della teoria normativa delle decisioni. Naturalmente vi saranno molte differenze individuali riguardo la capacità di articolare la struttura informativa e il numero di principi di base cui appellarsi, così come nella finezza con la quale vengono costruite le categorie ed inquadrati in esse gli individui[1].

È chiaro che, per ben decidere, occorre anche avere un quadro della situazione il più preciso possibile. è bene perciò assumere informazioni specifiche, sempre che questo sia possibile e non comporti costi eccessivi[2].

Anche se restiamo nell'angusto solco dei giudizi più sommari, si può presentare la situazione di appartenenza multipla[3]. Una delle più classiche situazioni di aporia che affliggono l'ingenuo mondo del pensiero (fortemente) stereotipato[4] si riscontra quando tale appartenenza è a gruppi cui vengono associate caratteristiche in contrasto tra loro[5]. In questi casi il prevenuto può teoricamente applicare i seguenti principi:

*�� allineare i propri pregiudizi gerarchicamente, in modo da fare prevalere il più forte di essi;

*�� sovrapporli con neutralità;

*�� prevedere soluzioni speciali, anche molto diverse da quelle originarie, per ogni conflitto di questo genere[6]. Si tratta spesso di un affinamento del pensiero stereotipato, ottenuto con la costruzione di subcategorie[7].

Vi è poi il caso di reale informazione aggiuntiva, eventualmente contrastante con lo stereotipo pregresso. Il primo modo di utilizzarla, l'abbiamo visto alla sez.5, è riuscire ad integrarla nella catena causale e nell'articolazione categoriale.

Il secondo è quello di combinare l'informazione a priori con quella ottenuta empiricamente, secondo una logica bayesiana, che è espressa in termini probabilistici – cfr. figura f.

Figura F - La logica delle decisioni bayesiane circa la minimizzazione della perdita media (da Wonnacott e Wonnacott, p.376)

Vi è naturalmente anche una terza possibilità: quella di chiudere occhi e orecchie all'evidenza (cfr. nota 38 e anche Jones, pp.77-80). Siccome nel contatto personale tale evidenza deriva dalla sensibilità umana[8] (unita ad un poco di logica[9]), è questa la voce che il razzismo mette a tacere.

Persino in un'opera come Il mercante di Venezia si trova la toccante (e peraltro celebre) perorazione di Shylock: "Ma non ha occhi un ebreo? Non ha un ebreo mani, organi, membra, sensi, affetti, passioni? Non si nutre degli stessi cibi, non è ferito dalle stesse armi, non è soggetto alle stesse malattie, non si cura con gli stessi rimedi, non è riscaldato e agghiacciato dallo stesso inverno e dalla stessa estate come un cristiano? Se ci pungete, non facciamo sangue? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo?" (Atto III scena I, Shakespeare, p.129).

La sensibilità non è certamente fonte di conoscenza perfetta (e tantomeno sempre utilizzata nel senso del giudizio favorevole – come si è visto all'inizio della sezione precedente); ma:

1)      dà origine a giudizio individuale, perciò più accurato;

2)      dal punto di vista etico, perlomeno attraverso il meccanismo dell'autoidentificazione[10], agisce come calmierante nei confronti degli eccessi (non solo ideologici, ma anche criminali) del razzismo[11];

3)      si è evoluta filogeneticamente per millenni, anche sotto forma di comunicazione non-verbale[12]. E probabilmente con un premio selettivo per chi riusciva a meglio comunicare e meglio valutare gli altri. Non si vuole sostenere il primato dell'intuizione fuori dal campo della comprensione interpersonale: questa sensibilità non si è evoluta per discettare di metafisica. Ma è curioso che anche una fredda analisi di stampo darwiniano ci porti a concludere che, nei rapporti umani, non ha così torto la Volpe nel dire al Piccolo principe: "Non si vede bene che col cuore".

Riprendiamo ora la nostra fredda analisi per fare qualche calcolo. Alla sez.4 abbiamo visto che (indicando con la media): , che possiamo scrivere come: .

Vediamo di quanto possiamo ridurre l'errore se siamo in grado di distinguere per subcategorie – ora, a differenza che nella sez.4, i rappresenta le categorie e t gli individui. Non annulliamo perciò il nostro pregiudizio, ci limitiamo a frantumarlo in tanti subpregiudizi . Avremo allora per ogni subcategoria i:

.

Per farci un'idea del guadagno in termini di MSE immaginiamo di scegliere uno dei subgruppi (che chiameremo k); ipotizziamo con un certo pessimismo che il nostro errore di giudizio sulla media di subgruppo resti di pari entità a quello globale, ovvero: . La media dei quadrati dell'errore di tipo È ora relativa al solo subgruppo prefissato. Se aggiungiamo l'ipotesi che tale media (che altro non è che la varianza del subgruppo) equivalga alla media della varianza di tutti i subgruppi, avremo[13]: .

Anche a parità di errore, la precisione della valutazione è migliorata perché abbiamo eliminato una parte di varianza, quella tra le medie parziali . Come intuitivo, tale miglioramento sarà tanto maggiore quanto più lontane, in media, le subcategorie. Permane invece la varianza relativa all'eterogeneità dei componenti la subcategoria i.

Se invece restassimo sull'interpretazione della sez.4, potremmo ricavare il guadagno ottenuto dal giudizio individuale in luogo di quello di gruppo – la variabilità residua deriverebbe allora dall'imprevedibilità del comportamento del singolo[14].



[1] Manz, Dahmen e Hoffman (pp.67-8) individuano la distinzione rispettivamente tra konkrete Person ed abstrakte Person, così come tra broad categorizer and narrow categorizer. Vedi anche la nota 87.

[2] Il valore dell'informazione si può stimare ex-ante sulla base di alcune assunzioni riguardo la funzione di perdita e le probabilità (valutate a priori) che l'informazione possa essere di un certo tipo: "il valore della nuova informazione è quell'ammontare per cui l'utilità attesa, realizzata quando la nuova informazione è disponibile, uguaglia l'utilità attesa realizzata senza questa nuova informazione" (Gambarelli e Pederzoli, p.174). Vedi anche Manz, Dahmen e Hoffmann, pp.51-7.

[3] "In social life, of course, people are generally not responded to as 'book chapters', but as complex and multidimensional. A given individual may simultaneously be a member of many categories, any one of which could be stimulant for stereotyping. (...) Sammy Davis, Jr., has pointed, with instructive humor, to the fact that people may respond to him as a black, a Jew, a physically handicapped person (sightless in one eye), and even as an entertainer!" (Miller (b), p.494).

[4] Per ricerche empiriche sulla rigidità mentale che dovrebbe accompagnarsi al pregiudizio, vedi Simpson e Yinger, pp.81-2. Una delle motivazioni profonde del pregiudizio potrebbe addirittura essere la ricerca di un'ancora cognitiva in un mare di incertezze (ibidem, p.76).

[5] Il lavoro di Feagin è incentrato appunto sui neri americani appartenenti alla borghesia – uno status contraddittorio per alcuni razzisti.

[6] Anderson rileva che "... black males are not equally distrusted. While younger males seem to warrant keen scrutiny in this area, those who are known stand to be trusted. Moreover, those who display the emblems and uniforms of the overclass (particularly suits, ties, briefcases, and books) and who conform to a certain level of propriety may be granted a measure of trust on the streets. Older black men tend to earn a greater degree of trust through their appearence and demeanor, suggesting maturity and even a caretaking role toward others on the street" (p.115). Cfr. anche Miller (a), p.25.

[7] In Hamilton e Trolier (pp.138-40) si trova una rassegna di contributi su questo punto (con particolare riferimento a quello di Rosch). Si veda anche il Linville, Salovey e Fischer, centrato sulla flessibilità della categorizzazione sociale, ipotizzato funzionare in termini di multiple feature sets (cfr. p.166 e la nota 101 qui). Penso in alcuni casi si possa traslare l'ipotesi motivazionale della nota 69.

[8] Mi riferisco, qui e in seguito, principalmente a quella che interviene nei casi di interazione diretta, senza processi di astrazione e generalizzazione. Sugli effetti del contatto, cfr. Allport, cap.XVI.

[9] Questo ci porterebbe a latere sull'interessante questione se esista un rapporto tra cultura e doti morali; mi limito a riportare al proposito l'opinione di Russell (pp.35-6, da Il sapere «inutile»): "Nella natura umana non educata vi è una considerevole crudeltà (…). Ora, mentre dobbiamo ammettere che anche persone di grande cultura sono a volte crudeli, lo sono molto meno spesso, credo,delle persone la cui mente è un terreno da dissodare. Quando si verifica un linciaggio, i suoi promotori sono invariabilmente uomini di crassa ignoranza. E ciò non perché coltivando la mente si sviluppino sentimenti umanitari, sebbene possa anche essere così; ma perché la cultura ci suggerisce svaghi diversi dal tormentare il nostro prossimo, e mezzi diversi dalla prepotenza per affermare la nostra personalità. Le due cose più desiderate da tutti sono il potere e l'ammirazione. Gli uomini ignoranti possono ottenerle, di regola, soltanto con mezzi brutali, che implicano la conquista della supremazia fisica. La cultura dà all'uomo forme di potere meno dannoso e mezzi più meritori per attirare l'ammirazione. Galileo fece più di quanto qualsiasi monarca abbia mai fatto per cambiare il mondo, e il suo potere fu incommensurabilmente superiore a quello dei suoi persecutori. Egli non aveva perciò alcun bisogno di diventare persecutore a sua volta."

[10] Qui si tratta di una forma di sensibilità insieme introspettiva e proiettiva; fondamentalmente con essa si riconosce all'altro la pienezza di status umano. Kelman scrive: "To perceive another as human we must accord him identity and community ... To accord a person identity is to perceive him as an individual, indipendent and distinguishable from others ... To accord a person community is to perceive him - along with one's self - as a part of an interconnected network of individuals who care for each other, who recognize each other's individuality, and who respect each other's rights" (citato in Miller (b), p.481).

[11] Agendo contro l'effetto di deumanizzazione della vittima che secondo molti autori viene indotta dallo stereotipo, nei casi più estremi. Cfr. note 74 e 90, Linville, Salovey e Fischer, p.175, Miller (b) p.490-1 e ancora Kelman in Simpson e Yinger, pp.86-7 e Miller (b), p.481, ove si legge: "When a group of people is defined entirely in terms of a category to which they belong, and when this category is excluded from the human family, then the moral restraint against killing them are more readily overcome". Per degli esempi meno estremi, ma a noi più vicini, vedi il paragrafo Misfatti del Colasanti (pp.15-24).

[12] E nonostante anche questa possa essere un po' ostacolata tra culture diverse, costituisce il primo tra i linguaggi universali (si veda l'atlante compilato da Desmond Morris).

[13] Con queste due ipotesi possiamo considerarci in un caso particolare della relazione, più generale e per noi più interessante, , dimostrata in Appendice.

[14] Sarebbe anche possibile (ma implicherebbe un notevole appesantimento dell'esposizione) unificare le due interpretazioni considerando nmq rilevazioni del tipo Xijt , ove gli indici rappresenterebbero rispettivamente le subcategorie, gli individui e le occasioni di rilevamento.

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