Andrea Furcht

Modernizzazione, immigrazione, nuove vulnerabilità sociali

Parte 3 di 6


casa
Pagina principale
logo_MSReader
Scarica il file in formato
Microsoft Reader
freccia a sinistra
Indietro
freccia su
Sommario
freccia a destra
Avanti
busta
Scrivi




3 L'immigrazione

Allarghiamo a questo punto l'analisi alla mobilità internazionale delle persone: aggiungeremo quello che viene considerato – dipendentemente dalle convinzioni dell'osservatore – come un fattore produttivo utile all'economia nazionale, un ulteriore soggetto debole da tutelare, un concorrente sleale sul mercato del lavoro e delle risorse pubbliche e/o, infine, un potenziale pericolo sul piano della criminalità. Da molti anni questo è un tema centrale nel dibattito politico e scientifico – sociologico, soprattutto – del nostro paese. Nell'opinione pubblica il fenomeno è stato in un primo tempo percepito con curiosità, e poi generalmente con ostilità o perlomeno timore; nella letteratura sono invece state ampiamente prevalenti posizioni di apertura, con impostazioni magari estremamente differenziate: dal pragmatismo riformista o addirittura liberista, che tende ad apprezzarne le potenzialità economiche, fino all'alternativismo militante o messianico, alla ricerca di figure "antagoniste al sistema"[1].

La consapevolezza comune a tutti è che si tratti di figure socialmente deboli: può poi derivarne lo stimolo ad interventi di sostegno o, piuttosto, l'impulso alla difesa da situazioni concorrenziali o criminogene. Ciò che a mio parere è invece quasi sempre mancato, probabilmente per colpa della tensione ideologica, è stato lo sforzo di distinguere tra differenti tipi di immigrazione, e possibili interazioni tra questi e le diverse classi di nativi[2]: evidente la rilevanza di tali distinzioni nell'analisi della concorrenzialità. La tentazione insomma di etichettare in toto come "buona" o "cattiva" l'immigrazione ha spesso fatto schermo all'intelligenza delle conseguenze del fenomeno.

Sono invece convinto che l'impatto dell'immigrazione sia talmente differenziato da rendere conveniente un approccio per singole categorie, tanto di immigrante quanto di nativo: ho utilizzato quest'analisi in miei precedenti lavori[3], cui rimando per una trattazione più approfondita.

Lo scopo che ci prefiggiamo qui sarà invece quello di abbozzare alcune ipotesi sulla dinamica sociale del prossimo futuro: ragionare sugli stranieri significherà adesso generalizzare gli scenari prefigurati nel paragrafo 2 con l'introduzione della mobilità internazionale delle persone.

Prima di entrare nel merito delle categorie particolari, osservo solo come ci si possa attendere in futuro un aumento della pressione migratoria dai paesi in via di sviluppo (PVS d'ora in poi), espressione eufemistica che include anche i paesi più poveri. Infatti:

*   le dinamiche demografiche, anche se oggi il tasso d'incremento della popolazione tende a rallentare nella generalità dei PVS, hanno oramai determinato squilibri insostenibili sui mercati locali del lavoro;

*   in ottica congiunturale un'eventuale recessione, che può colpire soprattutto la parte più avanzata dei PVS (Sud-est asiatico, America latina) che sembrano particolarmente esposti alle fluttuazioni cicliche, può peggiorare la disoccupazione;

*   anche un rapido sviluppo aumenterebbe, a breve/medio termine (10-20 anni), la pressione migratoria dai PVS più arretrati[4];

*   un quadro internazionale purtroppo estremamente teso rischia di produrre nuove masse di profughi da guerre e persecuzioni.

Sfortunatamente, le conseguenze di una pressione migratoria molto forte sono in generale sfavorevoli per il paese di arrivo[5]. Proviamo infatti ad applicare all'immigrazione lo schema economico dei rendimenti marginali, decrescenti oltre un certo livello di afflusso: sarà del tutto ragionevole attendersi non solo un contributo economico meno significativo da parte degli immigrati ben inseriti nel sistema produttivo, ma anche uno spostamento verso le categorie marginali (in sostanza chi è fuori del mercato del lavoro o addirittura dedito ad attività illegali) man mano che le occasioni di lavoro vengono saturate[6]. Il ragionamento vale più per il breve-medio – comunque almeno un decennio, nel nostro caso – che per il lungo periodo, nell'arco del quale potrebbero mettersi in azione processi di aggiustamento di più difficile previsione: questa non è però una gran consolazione, visto che una cattiva partenza può mettere le basi per reti informali orientate all'illecito e soprattutto per conflittualità a base etnica che rischiano poi di incancrenirsi.

3.1 Lavoratori dipendenti

Cominciamo dal caso standard, quello degli immigrati con regolare contratto di lavoro subordinato. Difficile immaginare che essi possano sottrarsi al graduale declino che pare attendere questa figura: nel caso degli immigrati vi sarebbe anzi l'aggravante che il re-training in terra (e lingua) straniera potrebbe essere più problematico, mentre lo spazio intermedio nella scala delle qualifiche richieste pare andare verso una sostanziale riduzione[7]; è ipotizzabile un'ulteriore difficoltà specifica, quella di venire schiacciati dalla delocalizzazione[8] (molte produzioni possono venire spostate in toto, senza che sia necessario limitarsi all'importazione di manodopera). Una delle risposte probabili a questo stato di cose è quella di essere il più concorrenziali possibili rispetto ai nativi, magari aiutati in questo da una futura normativa del lavoro più permissiva dell'attuale.

3.2 Lavoratori complementari[9]

Uno spazio per occupazioni relativamente appetibili sembra aprirsi a lavoratori anche non tecnologicamente all'avanguardia, tra i quali dovrebbero essere sovrarappresentati i lavoratori immigrati dai PVS[10]: i servizi alla persona[11], in linea di massima ad alta intensità di lavoro. Se un maggiore tempo libero da parte dei residenti suggerirebbe un ridimensionamento di tale domanda, in senso contrario spingono:

*   l'invecchiamento, in presenza oltretutto di sovraccarico per le reti familiari di assistenza (cfr. nota 12), con il corollario di necessità di assistenza per quantità crescenti di anziani: un settore questo ove la presenza di lavoratori provenienti dai PVS sembra già importante;

*   la partecipazione femminile al mercato del lavoro e la crescente instabilità familiare: i servizi prima autoprodotti in seno alla famiglia verrebbero sempre più demandati all'esterno; in un mondo popolato di singles sembra esserci molto spazio non solo per la collaborazione domestica, ma anche per la ristorazione, lo svago, le tintorie, i negozi di animali, gli organizzatori di viaggi e via elencando.

Eventuali peggioramenti nella situazione economica di fasce significative di popolazione locale possono d'altra parte spingere verso un ridimensionamento dello spazio economico di questo tipo di lavoratori (cfr. Furcht 1996).

Oltre ai lavori che gli italiani non vogliono fare ci sono anche quelli che non sanno fare: se il settore formativo non funzionerà bene, i giovani italiani verranno scavalcati da lavoratori di altri paesi che sapranno compensare con una formazione più aggiornata l'handicap di non conoscere bene lingua e usanze del paese ove si stabiliscono. Penso a paesi non ricchi ma culturalmente avanzati, almeno in potenza, come la Cina o l'India (in contrasto con la realtà della maggior parte dei PVS, cfr. nota 43); si veda ad esempio quanto affermato in nota 18, o a questo passo di un'intervista ad un manager IBM: "Il gap tra gli «IT-have» e gli «IT-have not», cioè tra chi è utente di tecnologia informatica e chi non se la può permettere, si sta allargando. D'altra parte, però, Internet ha un grande potenziale: i dispositivi a basso costo per l'accesso alla Rete potranno aprire nuove possibilità a una fascia di ceti emergenti, soprattutto in paesi come ad esempio l'India, dove sono sempre più numerose le persone con buone conoscenze tecniche" (risposta a V.Rossi, p.27)[12]. Per l'immigrazione cominciano dunque ad intravedersi, contrariamente a quanto successo fino ad oggi, prospettive di concorrenzialità con i lavoratori locali di qualifica medio-alta anche in loco: è inoltre prevedibile sia crescente specialmente in questo segmento l'importanza della teleconcorrenza internazionale (cfr. nota 18).

3.3 Lavoratori autonomi

La crescente domanda di servizi alla persona, cui si è accennato, dovrebbe aumentare le opportunità per molte attività gestite da immigrati (si pensi in primo luogo alla ristorazione). Si noti comunque che la differenza tra lavoratori autonomi e subordinati potrebbe diventare più evanescente nel tempo, specialmente qualora le nuove tecnologie aiutino a valutare con una certa esattezza l'apporto lavorativo dei singoli (l'ideale microeconomico consisterebbe in una remunerazione esattamente commisurata al beneficio apportato al committente)[13]; molte mansioni oggi regolate come lavoro dipendente potrebbero allora divenire esterne: verrebbe così rafforzata un'area ibrida, formalmente imprenditoriale, ma socialmente vicina al tradizionale lavoro dipendente – pur con le profonde differenze derivanti dalle minori sicurezze e maggiori opportunità che l'autonomia comporta.

3.4 Lavoratori precari[14]

Se il mercato del lavoro dovesse restare rigido, e magari divaricarsi ulteriormente tra un segmento dequalificato ed uno dirigenziale, a scapito della fascia intermedia, molti imprenditori locali si potrebbero orientare ancora più di oggi verso l'impiego di lavoro elegantemente chiamato "informale". Questo è sbocco d'elezione per chi proviene dai PVS, che vede comunque migliorare la propria situazione ed è in ogni caso all'altezza di mansioni che richiedono poco capitale umano.

Come negli altri casi, l'effetto dell'immigrazione di questi lavoratori sul benessere degli autoctoni dipende soprattutto dal ruolo produttivo di questi ultimi: possiamo ritenerlo generalmente positivo per imprese e consumatori (come in genere è l'apporto di lavoro), tendenzialmente sfavorevole per i lavoratori regolari e decisamente sfavorevole per i disoccupati e gli altri marginali nativi (cfr. Furcht 1994). Evidente il danno immediato per i lavoratori così detti "regolari"[15] e la tentazione per molte imprese di entrare nell'economia sommersa, se non altro per fronteggiare alla pari la concorrenza[16]. Un'evoluzione di questo genere premierebbe i settori meno innovativi e rallenterebbe lo sviluppo del sistema anche sul piano dell'innovazione tecnologica, in quanto – grazie ai bassi salari e magari alle possibilità di evasione fiscale – sarebbe scoraggiata la sostituzione di capitale a lavoro di bassa produttività.

Nel caso invece il sistema dovesse flessibilizzarsi significativamente, se ne avvantaggerebbero anzitutto gli autoctoni ora ai margini del sistema produttivo garantito (in prima linea i giovani disoccupati o precari), che troverebbero più agevolmente il posto di lavoro: le condizioni contrattuali meno gratificanti rispetto a quelle ufficiali attuali verrebbero in parte compensate da una (teoricamente) maggiore facilità a cambiare il posto di lavoro, da minori prelievi sulla retribuzione per il mantenimento del sistema di garanzie e probabilmente da una discesa (o minore salita) del livello dei prezzi. Per il lavoro dequalificato proveniente dall'estero sparirebbe la carta da giocare dell'irregolarità, ma resterebbe sempre possibile occupare mansioni lasciate libere dall'offerta di lavoro locale (in sostanza, trasformarsi in lavoratori complementari).

3.5 I marginali[17]

La condizione di marginalità può essere considerata fisiologica nella carriera migratoria qualora corrisponda ad un breve periodo di anticamera, destinato all'orientamento tra le diverse occasioni di lavoro. è però possibile che tale anticamera si dilati fino a costituire una fase importante od addirittura definitiva della vita nel paese d'arrivo. Ciò accade più facilmente quando (come è prevedibile succeda nei periodi di congiuntura avversa) aumentano coloro che emigrano senza un progetto migratorio preciso, al di fuori di quello di cavarsela in un qualsiasi modo – o sono comunque costretti a ripiegare su un simile progetto dalla carenza di sbocchi lavorativi una volta raggiunta la meta. Le considerazioni fin qui effettuate sul futuro del mercato del lavoro lasciano pensare che questi spazi di marginalità sociale possano allargarsi, specie per gli stranieri a modesto capitale umano di partenza (cfr. nota 43) – ulteriormente deprezzato dal fatto di trovarsi all'estero (fanno eccezione alcune attività perlopiù autonome quali la ristorazione o le traduzioni).

Il tema degli immigrati marginali ci porterebbe ad affrontare un argomento di estrema importanza, quella della criminalità. Non c'è però ragione di accodarsi a quella pur estesa parte di opinione pubblica che impropriamente lega un fenomeno di portata tanto generale alla sola attività degli stranieri, per quanto consistente questa possa essere: ne parleremo pertanto nella sezione seguente.



[1] Su questo cfr. Furcht 1993.

[2] Con questo termine, così come con "autoctoni", vanno in realtà intesi tutti i membri non immigrati di recente nella società di accoglienza.

[3] Furcht 1990, 1994 e 1996.

[4] Perché ne modernizzerebbe le strutture e, ancor più, le aspettative. Cfr. Furcht 1996, ove si rimanda a Teitelbaum (Gli effetti dello sviluppo economico sulle pressioni all'emigrazione nei paesi di provenienza, in Atti della conferenza internazionale sulle migrazioni, Editalia, Roma, 1991).

[5] Per quanto riguarda la criminalità, cfr. Barbagli p.126, che confronta la situazione ante-crisi petrolifera a quella degli ultimi due decenni: "Il mutamento nelle motivazioni degli immigrati che delinquono (…) è riconducibile ad altri cambiamenti che vi sono stati in Europa dopo il 1973. Il più importante è stato il passaggio da un'immigrazione prevalentemente da domanda ad una principalmente da offerta".

[6] Ho sviluppato questa analisi in Furcht 1994.

[7] Cfr. Gesano p.99 e Amendola p.131.

[8] Mi riferisco alla figura sociale e non alle persone, che possono anzi venire aiutate dallo spostamento delle attività nel loro paese natale.

[9] Definiamo Lavoratori complementari i lavoratori subordinati immigrati che soddisfano quei segmenti di domanda di lavoro per i quali non vi è sufficiente offerta locale al salario ritenuto socialmente accettabile. Tipico esempio sono infermieri o collaboratori domestici; è questo il tipo di immigrazione più favore alla generalità della popolazione autoctona.

[10] Filippazzi e Occhini sono a questo riguardo concisi ma pessimisti: "Un altro fenomeno che entra in gioco è la crescente percentuale di popolazione di provenienza extracomunitaria [si intende PVS], caratterizzata di norma da bassi livelli di scolarità" (p.86).

[11] Gallino si occupa ampiamente della "società dei servizi alla persona", facendone oggetto dapprima di poco velato sarcasmo (rilevando, tra l'altro, come questa facile ricetta per aumentare l'occupazione risalga ai "lontani anni '70", pp.43-4), poi di una certa attenzione (p.168: "una quarta strada obbligata è quella di accrescere la produttività anche nei settori del terziario, quali i servizi pubblici ed i servizi alle famiglie e alla persona, in cui essa è sempre stata per definizione stagnante"), infine di progettualità audace e quasi entusiastica (pp.213-22, sotto il titolo "Produzione industriale di servizi per l'impresa famiglia", cfr. nota 81).

[12] Penzias (in Chiaberge 1999) accenna invece al Bangla Desh.

[13] Amendola segnala "la impossibilità per quest'ultima [l'impresa] di controllare a costi ragionevoli il livello di sforzo [meglio, direi, il risultato] che il lavoratore decide di erogare nel proprio lavoro" (p.144, cfr. anche p.146) come una delle ragioni fondamentali per le quali "il mercato del lavoro è indubbiamente caratterizzato, più di ogni altro mercato, dall'esistenza di una pluralità di istituzioni: regolazioni, di carattere normativo o contrattuale, codici di condotta, norme di comportamento sociali e consuetudini" (p.143). Le svolte tecnologiche sembrano invece portarci verso la perfetta informazione anche nel mercato del lavoro; dice ad esempio Penzias (intervista di Chiaberge): "Se il potere è dalla parte dei compratori, questo vale anche per chi compra il tuo lavoro. La competizione non darà tregua, e avremo tutti molto da fare. Il cliente o il capo ci potrà raggiungere in ogni momento, in ogni luogo, e se non ci trova si rivolgerà a qualcun altro.".

[14] Si tratta dei lavoratori non inquadrati a pieno titolo nel mercato ufficiale del lavoro: ad esempio irregolari e/o a tempo parziale (a meno che non si tratti di una scelta deliberata), adibiti nella maggior parte dei casi a mansioni poco qualificate.

[15] In un quadro di difficoltà occupazionali, ché altrimenti si potrebbe ipotizzare un aiuto per la mobilità verticale ascendente.

[16] Un classico studio su quest'aspetto è: Dell'Aringa C. e Neri F., Illegal immigrants and the Informal Economy in Italy, Labour nº 1 (2), 1987. Molto interessante il paragrafo "La terzomondizzazione del Nord: l'economia sommersa" (pp.116-27) che Gallino dedica alla questione , nel quale si osserva con amarezza che "nel globo che diventa globale, dove tutto e tutti, ci vien detto, debbon fare i conti con il resto del mondo: perché Milano o Roma o Napoli, quanto a condizioni di paga e di lavoro per il maggior numero, non dovrebbero diventare sempre più simili a Bombay o Lagos?".

[17] In questa categoria possiamo fare rientrare coloro che non hanno un lavoro regolare, includendo quindi disoccupati e semi-disoccupati (il confine con la categoria precedente è evidentemente piuttosto sfumato).



casa
Pagina principale
logo_MSReader
Scarica il file in formato
Microsoft Reader
freccia a sinistra
Indietro
freccia su
Sommario
freccia a destra
Avanti
busta
Scrivi