Andrea Furcht

Razzismo e statistica: osservazioni sul pregiudizio

Parte 3 di 10
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3 - Il reperimento dei dati

Partiamo pure dall'asserzione che le ipotesi scientifiche non poggino su una base rigorosamente induttiva[1]. Questo deve allora valere a fortiori per ambiti nei quali rappresentazioni simboliche e strutture affettive hanno un peso incomparabilmente maggiore, come nella vita quotidiana. La funzione del riscontro empirico è però anche in questo caso perlomeno quella di corroborare o fare abbandonare le ipotesi di partenza.

Da dove possiamo pensare che l'uomo della strada tragga tale riscontro? è qui immaginabile una prima suddivisione tra fonti indirette e dirette. Le prime possono presentare alcune distorsioni dovute alla trasmissione dell'informazione ed alla mancanza di serio controllo all'origine[2]. A questo proposito va detto che il grado di serietà può variare da quello delle dicerie più o meno calunniose[3] – che possiamo immaginare svolgano un ruolo preponderante nell'autorafforzamento del pregiudizio, oltre che nel suo sorgere – a quello di dati scientifici (o quasi)[4].

Ma le fonti dirette non sono molto più affidabili[5]. Se un osservatore ricava i propri giudizi da precedenti incontri con i membri del gruppo in questione, possiamo considerare tali contatti nella loro globalità come una forma di campionamento[6]; insorgono allora almeno quattro problemi (il più rilevante mi pare il terzo):

a) la dimensione del campione può essere insufficiente;

b) difficilmente il campione è rappresentativo;

c) le prevenzioni dell'osservatore – eventualmente rafforzate da effettivi contrasti di interesse[7] – fanno da filtro alla selezione e alla valutazione dei dati[8];

d) è frequente il fenomeno delle "profezie auto-avverantesi"[9].

Se si è così rigidi da considerare il gruppo come dotato di alcune caratteristiche immutabili nel tempo, anche gli individui presenti e passati vengono a farne parte di diritto: dal punto di vista statistico il fatto grave sarebbe allora non tanto l'ampliarsi della popolazione[10] di riferimento (ché un campione abbastanza esteso sarebbe comunque sufficiente), quanto non poter legittimamente generalizzare in epoche diverse [11] – cfr. però Hume in n.19.

Va poi detto che, anche se non si intende generalizzare nel tempo, non tutti hanno uguali probabilità a priori di venire estratti. Qui intervengono non solo una serie di fattori riguardanti l'osservatore (quali le sue abitudini di vita), ma anche il fatto che spesso gli elementi più sgraditi sono anche quelli più visibili[12] (anche per via dell'amplificazione operata – magari in buona fede – dai mezzi di comunicazione, che spesso fa indebitamente risaltare la parte deviante di una collettività). Se il campione è formato da immigrati e il giudizio riguarda la popolazione d'origine, una distorsione inevitabile è dovuta alla selettività (ad esempio per sesso ed età) dell'emigrazione[13] – riprenderò il caso nella sez.5.



[1] Cfr. ad esempio Marradi, pp.93-4.

[2] Cfr. nota 11. Sul ruolo dei mass-media vedi anche Colasanti, p.43 (dissento però parzialmente sul merito), con ulteriori rimandi bibliografici.

[3] Vedi Anderson, pp.111-2 e 121-2, ed anche Dovidio e Gaertner (a) p.17 e Hamilton e Trolier p.127.

[4] Nel paragrafo Metodi di studio delle differenze di gruppo Allport (pp.122-31) presenta una tipologia di questi ultimi: Racconti di viaggio - Statistiche anagrafiche (e di altri tipi) -Test - Studi sulle opinioni e gli atteggiamenti - Studio comparativo delle ideologie ufficiali [Allport, scrivendo in pieno periodo maccartista, dedica molta attenzione ai comunisti come gruppo oggetto di pregiudizio] - Analisi dei contenuti - Altri metodi.

[5] A questo è dedicato il contributo Jones.

[6] Quest'impostazione si trova ad esempio in Miller (a), p.9. Cfr. anche Hamilton e Trolier, pp.156-8 e Barbagli p.81.

[7] Cfr. Dovidio e Gaertner (a), pp.16-7, ma anche Hamilton e Trolier, pp.152-3 e Simpson e Yinger, pp.101-2, che mettono in risalto come questa componente non sia necessaria. In Miller e Brewer, pp.209-14, la stessa tesi si ricava per inversione (non basta la convergenza di interessi per diminuire il pregiudizio).

[8] Montagu scrive che "la maggior parte delle persone sono creature emotive che si servono del cervello soprattutto per convalidare i loro pregiudizi" (p.351). Tra i molti altri riferimenti Allport, pp.33, 229 e 435-6, Colasanti, p.27, Miller (a), pp.5-6 e Simpson e Yinger, pp.21, 72, 73, 99-100, 106-7; in diversi punti Jones (con gli scherzi giocati anche alla memoria, pp.71-7, ma vedi anche Allport, p. 433), Hamilton e Trolier e, criticamente, Linville, Salovey e Fischer; in un senso più sottile, vedi Jones, p.60. Più in generale va comunque rilevato che ogni percezione viene mediata (si veda ad esempio Manz, Dahmen e Hoffmann, pp.60-4), e rappresenta essa stessa una mediazione rispetto alla realtà: è questo uno dei temi centrali della riflessione gnoseologica (basti pensare a Kant).

[9] Anche su questo punto, che A.Miller considera "one of the most valuable contributions of experimental social psychology to the understanding of stereotypes" Miller (b), p.495, la letteratura è molto vasta. Cfr. Allport, pp. 183, 208, 645-6 e specialmente 223-4, Hamilton e Trolier, pp.149-51, Maisonneuve p.133, Miller (a), pp.8 e 18, Jones, pp.80-3, Morris e Williamson, p.451, Miller (b), 488 e 495-6, Phelps, p.659,  Simpson e Yinger, pp.102, 155 e soprattutto 104-5. Per una discussione più generale, cfr. Popper, pp.27-30.

[10] Qui e in seguito il termine viene utilizzato nell'accezione statistica, come l'insieme di individui oggetto di indagine, dal quale possiamo estrarre dei campioni.

[11] Cfr. Marradi p.20, che (così come Perrone, p.73) riporta le critiche al rapporto Kinsey ed a La personalità autoritaria.

[12] Cfr. Allport, p.366 e Jones, p.71. Hamilton e Gifford (in Jones, p.68-9) e Hamilton e Trolier, pp.135-6) danno un'interpretazione simile.

[13] Lo mettono rilievo ad esempio sia Segre, a proposito della propensione a delinquere, che Descloirotes (citato in Furcht (a), p.256).

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