Andrea Furcht

Razzismo e statistica: osservazioni sul pregiudizio

Parte 4 di 10
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4 - Dispersione del carattere

Finora abbiamo visto come possa formarsi una valutazione globale sull'intera popolazione oggetto di (pre)giudizio. Nei casi peggiori, essa viene applicata acriticamente anche ai singoli individui[1] .

In termini quantitativi, questo significa che la media di gruppo può venire utilizzata senza tenere conto della dispersione, o comunque sottovalutandola[2] (cfr. a questo proposito Linville, Salovey e Fischer, pp.168-73 e 182-3).

Oltre alle evidenti implicazioni etiche[3], si tratta di una ulteriore fonte di imprecisione, tanto più ragguardevole quanto più la dispersione è elevata. Questo si evince intuitivamente dalla figura b: si noti che le medie dei gruppi sono le stesse in ambedue i casi, ma come il valore descrittivo delle differenze tra di esse si indebolisca all'aumentare della dispersione[4].

Proviamo a formalizzare quanto detto[5]; se un osservatore prevenuto applicasse rigidamente il giudizio aprioristico collettivo[6] al caso particolare del comportamento dell'individuo i-mo nell'occasione t-ma avremmo[7]:

, ove: = giudizio aprioristico

Figura B - Media di gruppo e dispersione del carattere (da Wonnacott e Wonnacott, p.240)

= media globale della popolazione

= media[8] dell'individuo i

= azione di i al tempo t

Il nostro errore totale sarebbe allora scomponibile nei seguenti elementi:

: errore di appiattimento;

: errore di valutazione del gruppo;

: errore dovuto allo scostamento dell'evento stocastico dalla sua media. Si tratta di un residuo imprevedibile, anche se riducibile – a certe condizioni – con l'introduzione di nuovi elementi nell'analisi (cfr. sez.5).

Poniamo che si preveda con esattezza il comportamento del singolo: non è detto che il nostro giudizio di gruppo sia corretto. L'errore globale potrebbe infatti azzerarsi perché le singole componenti si compensano[9].

Abbiamo finora analizzato il giudizio nel caso singolo. Una misura generale della bontà delle nostre valutazioni è data invece dall'errore quadratico medio (o MSE, da Mean Square Error), che si calcola su tutti gli i e tutti i t. è pari infatti al quadrato dell'errore di valutazione sull'intera categoria più la varianza delle medie degli individui più la media delle varianze individuali (cfr. sez.7)[10]. L'imprecisione – misurata in termini di MSE – non deriva quindi solo dall'errore di partenza nella valutazione della media di gruppo, ma aumenta in ragione delle differenze tra gli individui (ed anche dell'incostanza di comportamento dei medesimi).

Un'ultima annotazione: normalmente non si fanno precise ipotesi sulla forma della distribuzione[11]. In questo caso la statistica (mettendoci adesso dal punto di vista inferenziale) insegna che gli strumenti appropriati sono meno potenti (test non-parametrici) e le conclusioni che possiamo trarre sulla base di un campionamento anche corretto sono più incerte. Anche a prescindere dai problemi di stima, è evidente che un'idea realistica della distribuzione è comunque molto utile, tra l'altro per valutare la dispersione.



[1] "Prejudice ... leads one to look upon all members of a 'group' as if they were alike" (Simpson e Yinger, p.21). Su questo punto, molto importante per noi, vedi anche Hamilton e Trolier, specialmente pp.129 e 131, Miller (a), pp.11 e 23, Jones, p.79 e ancora Simpson e Yinger, p.75 e in particolare p.100, punto 7. In realtà sono possibili diversi gradi di appiattimento – vedi Simpson e Yinger, p.99, e Miller e Brewer, soprattutto le pp.215-7 e 218; a questo proposito sono molto interessanti le interpretazioni probabilistiche di Mc Cauley e altri riportata in Miller (b), p.497 ed il Linville, Salovey e Fischer, scettico verso la "outgroup homogeneity hypothesis" (p.165-7); quest'ultimo propone inoltre una nuova misura per la differenziazione del gruppo esterno, riporta gli esiti di diverse ricerche ed inoltre collega l'appiattimento all'evaluative extremity (cfr. nota 29) e alla spersonalizzazione (cfr. nota 91).

[2] Si noti che si potrebbe dare anche una spiegazione puramente tecnica del fenomeno, che può essere visto come un'ulteriore conseguenza dello stile naïf di campionamento ed inferenza di cui alla sezione precedente. Come noto, la varianza campionaria è uno stimatore distorto di quella della popolazione (che è un parametro fisso), perché è inferiore in media. Utilizzando le consuete notazioni (E per il valore atteso, n per la dimensione del campione, s2 per la varianza campionaria e s2 per quella della popolazione) abbiamo infatti, nel caso di popolazione infinita (o di campionamento con reintroduzione): .

[3] Dobzhansky (pp.25-6) ricorda l'elementare principio secondo il quale ognuno dovrebbe venire giudicato individualmente.

[4] Dal punto di vista inferenziale, più è elevata la varianza all'interno dei campioni rispetto a quella tra le loro medie (pare proprio essere questo il nostro caso, cfr. nota 18), meno possiamo respingere l'ipotesi che i campioni provengano da popolazioni di partenza con medie uguali.

[5] Per una diversa formalizzazione, di estremo interesse, si vedaPhelps (cfr. Bibl.).

[6] Cfr. Montagu, p.100. Tale estrema ipotesi è chiamata modello del prototipo, Linville, Salovey e Fischer, p.179).

[7] Ipotizziamo la misurabilità della proprietà su una scala ad intervalli e, per semplicità, che il numero di rilevazioni t sia uguale per tutti gli individui i, che esauriscono la popolazione oggetto di pregiudizio.

[8] Riferita, come la precedente, a tutte le occasioni t. Avremo perciò una media generale , calcolata su tutti gli (che sono in numero nq ); e n medie individuali , ognuna calcolata sui q dati relativi all'individuo in questione.

[9] Per esempio avremmo potuto pensare, a torto, che i neo-zelandesi siano molto golosi di torta alle mele (errore di tipo B), ma averne trovato uno ghiottone (compensato da errore di tipo A), oppure anche uno in un particolare momento di appetito (si tratterebbe allora dell'errore di tipo C).

[10] Il risultato si ottiene elevando al quadrato l'equazione precedente e facendone la media (il procedimento, nel quale si annullano i doppi prodotti, è analogo a quello che si utilizza per la scomposizione della devianza – cfr. Vitali, pp.485-7 e Wonnacott e Wonnacott, p.247). In statistica inferenziale lo MSE misura l'efficienza dello stimatore (cfr. Wonnacott e Wonnacott, p.171). Si veda il Gambarelli e Pederzoli, pp.146-9 per un'applicazione agli accertamenti di probabilità: Inattendibilità= (Distorsione)2+Inaccuratezza. Un'inaccuratezza, stavolta, che non è colpa di nessuno – si tratta della varianza del fenomeno, che nella formula ho distinto in due componenti. La distorsione invece corrisponde all'errore di tipo B (dall'inglese bias: l'ordine di elencazione è stato invertito appunto per rispettare questa convenzione).

[11] Allport (pp.132-44) si è cimentato con l'individuazione delle forme tipiche con le quali un carattere può distribuirsi nei gruppi umani: curva a J: comportamento conformista – con code di "non osservanti" (e di "ultrazelanti"); differenziale raro-zero: comportamento peculiare di un gruppo, ma anche lì poco diffuso; curve normali: si tratta della gaussiana, curva campanulare e simmetrica che è molto comune nelle caratteristiche più strettamente biologiche ed anche in quelle attitudinali; differenziali di categoria: carattere presente in misura significativamente differente nei vari gruppi umani.

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