Andrea Furcht

Razzismo e statistica: osservazioni sul pregiudizio

Parte 8 di 10
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8 - Conclusione

L'iter un po' pavloviano del prevenuto conseguente può riassumersi in questi termini, seguendo una priorità logica:

a)      costituzione di un gruppo;

b)      imputazione al gruppo di una costellazione di caratteristiche collettive;

c)      omologazione degli individui nella media di gruppo.

Si sono mostrate le insidie di ognuno di questi passaggi; si rischia infatti di calpestare le esigenze di una corretta:

1.    raccolta di dati per l'induzione (o almeno per il grado di conferma delle proprie convinzioni);

2.    valutazione della forma della distribuzione e relativa dispersione attorno alla media;

3.    ricostruzione della catena causale;

4.    utilizzazione di informazioni supplementari.

Si è affrontata la materia con uno sforzo di neutralità: anzitutto senza entrare nel merito dei pregiudizi, non escludendo quindi a priori che alcuni possano avere un fondamento[1]; in secondo luogo, va aggiunto che molto di quel che si è detto si applica anche ai pregiudizi positivi – che, per quanto meno sinistri di quelli negativi, sono anch'essi logicamente viziati ed ingiusti[2].

È ora di far rientrare dalla finestra il giudizio morale, che era stato cacciato dalla porta. è ovvio condannare il razzismo (perlomeno quello legato al pregiudizio negativo) sulla base delle conseguenze sfavorevoli per chi ne viene colpito[3]. Sulla base di quanto esposto possiamo infatti affermare che il razzismo è:

  1. distorcente, per la cattiva costruzione del gruppo (cfr. par. 2.1), della graduazione della proprietà (par. 2.2), della relativa media (sez.3) e dispersione (sez.4);
  2. ingannevole, per l'inconsapevolezza che spesso ne accompagna l'uso (altrimenti caratterizzato normalmente da un eccesso di fiducia) – cfr. nota 1;
  3. manipolabile, per il ruolo delle fonti indirette, poco controllabili (cfr. ancora sez.3);
  4. ideologico, per la sua fede nell'essenza (cfr. sez.5);
  5. superficiale, per la sommarietà dell'analisi causale (vedi sez.5);
  6. inumano, perché acceca la sensibilità (vedi sez.7);

  7. criminogeno, perché può portare ai peggiori delitti (cfr. nota 91).

A questo punto si impone però una constatazione: il pensiero preconcetto presenta in effetti una notevole praticità, anzi una sostanziale indispensabilità nei casi di decisioni di trascurabile rilievo (cfr. nota 76).

Sorge allora un problema: fino a quale punto è auspicabile si ricorra al preconcetto[4]? Optare per una radicale eliminazione significherebbe evidentemente rendere impraticabile l'attività mentale quotidiana. D'altra parte, per dirla con Phelps (p.661), "Discrimination is no less damaging to its victims for being statistical". Una possibile soluzione, in linea con la tradizione dell'etica utilitaristica, mi pare sarebbe quella di valutarne le conseguenze[5]: quando lo svantaggio (per chiunque) supera gli aspetti di convenienza – derivanti in primo luogo dall'economia di pensiero – allora è il caso di giudicare individualmente[6]. Di norma è questo il caso quando si rischia anche solo di ferire la sensibilità altrui.

Ma anche dal mero punto di vista del decisore, c'È un aspetto che non si è ancora esplicitamente affrontato: l'inefficienza di un simile sistema mentale. Vi è un evidente immediato interesse a decidere per il meglio nelle singole istanze[7]; ma è anche chiaro sia preferibile godere di una visione della realtà meno da inficiata da distorsioni, grazie ad un maggior ricorso ad informazioni di prima mano: basti considerare quante positive esperienze una personalità prevenuta si preclude.

Tutte le volte che i costi superano i vantaggi (penso si tratti della grande maggioranza dei casi quando ci si basa su caratteristiche ritenute acquisite per nascita), il pregiudizio non si ripaga. Allport – citato stavolta in Miller (a), p.17 – trovava il miglior antidoto al pregiudizio nel "plain self-interest".

Il razzismo, insomma, è oltretutto anche stupido. Ricorrono infatti gli estremi della terza (ed aurea) legge fondamentale della stupidità, che così recita (Cipolla, p.58): "Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita".



[1] Sulla questione del "fondo di verità" vedi Allport, pp.182-4, Maisonneuve, p.132, Miller (a), pp.8, 18, 19,22 e 25 e Simpson e Yinger, pp.103-4.

[2] Ho discusso questi aspetti soprattutto in Furcht (b).

[3] Questo almeno per un consequenzialista. Altrimenti può essere condannato sulla base dei cattivi sentimenti cui è associato.

[4] "Fino a quale punto" può intendersi semplicemente nel senso di "in quali occasioni". Ma si potrebbe anche allargare la questione – senza alterare le conclusioni – all'accezione "quanto pregiudizio usare". Mi pare infatti molto sensata l'osservazione "...stereotyping is a matter of degree. The more differentiated a perceiver's cognitive representation of the members of a given group, the less stereotypic the perceiver's thinking about that group" Linville, Salovey e Fischer, p.198.

[5] Più facile a dirsi che farsi, naturalmente. Oltre alle consuete difficoltà di calcolo (cfr. nota 6), va tenuto conto delle possibilità di azioni alternative: si tratterebbe dunque di stabilire l'utilità attesa.

[6] Tra le eccezioni possibili, quelle menzionate nella sez.6. Bisogna anche tenere conto del costo delle nuove informazioni, oltre che della fatica di elabolarle.

[7] Si pensi al white rapist menzionato alla nota 78. Oppure a quanto scrivono Linville, Salovey e Fischer: "Nonetheless, the human cognitive system does correct some false generalizations, especially when relying on them results in negative feedback". Incontrovertibile la logica dell'esemplificazione susseguente: "For instance, a bank teller who automatically hit the robbery alarm button every time a young black male entered the bank would soon be out of a job. So given negative feedback, people learn to correct past overgeneralizations by developing more "discriminating" feature sets for characterizing category members. The process of discrimination involves adding additional features to past generalizations to distinguish between appropriate and inappropriate applications of the generalization (Anderson et al., 1979). For instance, most bank tellers quickly learn that the only young black males who can be classified confidently as bank robbers are those who display weapons but are not wearing police uniforms, or those who announce that they are robbing the bank" Linville, Salovey e Fischer, pp.181-2.



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